WEEKEND DI RIFLESSIONI: TRA AZZURRINI SCONFITTI E RETROCESSIONI ANNUNCIATE
L'Enigma Ambrosino: Talento Sprecato o Sistema Malato?
Ecco, vorrei partire dalla sconfitta degli azzurrini contro i pari età tedeschi e da quella punizione pennellata da Giuseppe Ambrosino al 96° minuto. Un gesto tecnico di rara bellezza, che ha illuso per qualche istante prima del definitivo epilogo amaro.
Questo ragazzo è in giro da un po' di anni, con prestiti al Catanzaro e Frosinone che non ne hanno messo in luce le qualità e le sue caratteristiche. Eppure con il Napoli Primavera i suoi gol li aveva fatti eccome, così come in tutta la trafila delle giovanili azzurre, dove ha sempre dimostrato un fiuto per la rete invidiabile e una tecnica sopraffina.
La nazionale maggiore è reduce dalla sconfitta per 3-1 contro la Norvegia nel girone di qualificazione al prossimo mondiale; sconfitta che ha palesato tutte le difficoltà di un movimento che fatica a esprimere personalità di spicco e talenti anche a livello giovanile. Carmine Nunziata, ct degli azzurrini, ha spesso lamentato la mancanza di minutaggio dei suoi ragazzi nei rispettivi club, e il caso Ambrosino ne è l'emblema perfetto. La conseguenza diretta è la difficoltà anche della nazionale maggiore a trovare soluzioni ed il rischio di mancata qualificazione al mondiale del 2026 non è poi ipotesi così remota.
Ed è possibile che questo ragazzo non abbia mai avuto la possibilità di debuttare in Serie A? Possibile che un classe 2003 in Italia sia ancora considerato un giovane promettente mentre negli altri paesi europei ci sono titolari fissi del 2006 e del 2007? Guardiamo alla Germania stessa: Florian Wirtz, nato nel 2003, è già un pilastro del Bayer Leverkusen e della nazionale maggiore. In Spagna, Gavi e Pedri hanno rivoluzionato il centrocampo del Barcellona quando erano ancora minorenni.
Il problema è sistemico: in Italia continuiamo a privilegiare l'esperienza rispetto al talento puro, la conservazione rispetto all'innovazione. I prestiti diventano spesso parcheggi dove i giovani perdono anni preziosi invece di crescere e affermarsi.
Il Karma della Salernitana: Quando la Storia Presenta il Conto
L'altro fatto su cui voglio soffermarmi è la retrocessione della Salernitana: non perché mi sia simpatica, ma perché dentro di me brucia ancora quel maledetto 30 aprile del 2023, una ferita che il tempo non è riuscito a rimarginare.
Per chi ha la memoria corta o selettiva, quella domenica la Salernitana pareggiò 1-1 con il Napoli e rimandò la festa scudetto degli azzurri che, in virtù di quel pareggio rocambolesco, non poterono celebrare la matematica vittoria del campionato davanti al proprio pubblico. Un epilogo che negò ai tifosi partenopei la gioia di un momento atteso per 33 lunghi anni.
Diciamo che fin qui non vi sarebbe nulla di strano - il calcio è imprevedibile e ogni squadra lotta per i propri obiettivi - se non fosse che la città di Salerno celebrò quel pareggio per ben tre giorni come fosse una conquista epocale. La stessa società, tramite i propri canali social ufficiali, definì quel risultato "un traguardo storico", con tanto di video celebrativi e proclami da impresa titanica.
Per chi non ricorda i dettagli di quella partita, la Salernitana produsse un solo, misero tiro in porta in 90 minuti - quello del gol di Dia all'86° - dopo aver passato l'intera gara a difendersi con ogni mezzo lecito e non. Un calcio speculativo portato all'estremo, che pure può essere legittimo, ma che difficilmente può essere celebrato come un capolavoro tattico.
La mia testa, che ammetto essere spesso "buggata" dalle emozioni calcistiche, fa risalire la retrocessione dei granata proprio a quel giorno maledetto. E non è solo superstizione, ma una lettura più profonda di quello che accadde:
Primo: si celebrò non tanto la propria impresa, quanto la mancata gioia altrui. È un modo malato di concepire lo sport: "Viva il demerito e non il merito", una filosofia che pervade troppo spesso il nostro calcio e, ahimè, la nostra società.
Secondo: nonostante quella salvezza miracolosa, la Salernitana di Paulo Sousa mostrava già allora evidenti e gravi limiti tecnici e di gioco. Una squadra costruita male, senza un'identità precisa, che aveva fatto dell'emergenza la propria normalità. I nodi, prima o poi, vengono al pettine.
Terzo: dopo la matematica vittoria del campionato del Napoli, avvenuta solo quattro giorni dopo quel pareggio (il 4 maggio contro l'Udinese), a Salerno si registrarono deprecabili fenomeni di violenza e intolleranza contro le spontanee esultanze di tifosi napoletani residenti in città. Episodi che macchiarono ulteriormente quella che doveva essere una festa di sport.
Il Calcio che Non Vorremmo
Questi due episodi, apparentemente slegati, raccontano in realtà lo stesso problema di fondo: un sistema calcistico italiano che spesso premia la mediocrità, che non sa valorizzare i propri talenti e che confonde l'astuzia con l'intelligenza, la furbizia con la competenza.
Ambrosino che non trova spazio in Serie A mentre all'estero i suoi coetanei sono già protagonisti. La Salernitana che celebra un pareggio come fosse una vittoria in Champions League. Due facce della stessa medaglia: un calcio che ha smarrito la propria bussola.
Forse è tempo di voltare pagina, di tornare a credere nel merito, nel talento, nella bellezza del gioco. Forse è tempo di smetterla di celebrare i pareggi e iniziare a costruire vittorie vere, durature, di cui essere davvero orgogliosi.
Il weekend si chiude con l'amaro in bocca, ma con la speranza che questi episodi possano servire da lezione. Per tutti noi.
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